Peter Fonagy ritiene che considerare le organizzazioni borderline in termini di deficit (dunque di “arresto evolutivo”) o di conflitto (quindi di regressione e fissazione) dipenda essenzialmente da uno specifico malinteso sulla natura della regressione: egli sottolinea, riprendendo alcuni concetti di Jospeh Sandler, che la regressione non va letta come un cambiamento nell’Io, ma come la riutilizzazione delle strutture psichiche precedenti che sono state inibite nel corso dello sviluppo. Ciò che può essere interpretato come arresto evolutivo (ad esempio nelle organizzazioni borderline) ad un esame più attento può rivelarsi un’inibizione difensiva di un processo dell’Io che non riesce a sovraimporsi a sistemi obsoleti precedenti. Una “frattura” o una inibizione dei processi superiori permette alle modalità obsolete di funzionamento psichico di tornare ad operare in primo piano. Il concetto di persistenza inoltre, così come è stato concettualizzato da Sandler, è evidente anche nel funzionamento delle due modalità psichiche (equivalenza e far finta) integrate: quando interviene un qualunque elemento che determini l’inibizione e l’impossibilità dell’integrazione, riemergono modalità di pensiero arcaiche e riconducibili al funzionamento “scisso” dell’equivalenza e del far finta.

Al tema della persistenza delle strutture psichiche derivanti da precedenti fasi evolutive si collega la visione di Fonagy e di Sandler del trauma e del suo ruolo nello sviluppo psichico. Per Fonagy il trauma impedisce l’integrazione delle due modalità di realtà psichica (“Equivalenza psichica” e “Far finta”), rinforzando l’utilizzo “scisso” delle due singole modalità: l’accesso alla mentalizzazione sarebbe pertanto impedito. L’assenza di mentalizzazione, quindi, non deve essere necessariamente considerato come un deficit, ma può anche essere considerato come il miglior adattamento possibile per quel particolare bambino con la sua particolare storia evolutiva: il non mentalizzare può permettere al bambino di prendere le distanze da una situazione incomprensibile e sovrastante le sue capacità psichiche di farvi fronte. Dunque l’effetto dirompente del trauma infantile non consisterebbe solo nella situazione traumatica in sé, ma nei “danni” che il trauma apporterebbe alle strutture psichiche più evolute ed in grado di poterlo elaborare mentalmente.

Dello stesso avviso, oltre trent’anni prima, era stato Joseph Sandler: la conseguenza patologica del trauma non dipenderebbe tanto dall’esperienza iniziale di impotenza del bambino davanti all’evento quanto dalla successiva condizione post-traumatica della mente del bambino. Egli suggerì che le conseguenze cliniche del trauma potevano essere dovute alle continue pressioni sull’Io, determinate principalmente dal grado di conflitto interno che rimane dopo il trauma stesso, devastando lo sviluppo della personalità e sfociando in una patologia borderline, antisociale o psicotica. Successivamente, approdato all’ultima versione del suo modello, Sandler dirà che

“prove derivanti dall’osservazione dei bambini e dall’analisi infantile, così come da studi come quelli sui modello di attaccamento, suggeriscono con forza che i ricordi procedurali dalla tenera età tendono a persistere sotto forma di modelli di comportamento che possono essere ripetuti successivamente nel corso della vita

[…]. Le particolari manifestazioni di panico ed ansia, e le particolari difese e strategie adattive suscitate da questi affetti dolorosi, conseguenze di un trauma o di un abuso infantile, possono riprodursi più tardi in situazioni che producono ansia” [Sandler J. e Sandler A.M.: A psychoanalytic theory of repression and the unconscious. In: Recovered Memories of Abuse: True or False?  Sandler J. e Fonagy P. (a cura di) – London: Karnac Books, 1997 ]

Anche per Sandler quindi, l’effetto più devastante del trauma è la persistenza attiva nel presente di modalità arcaiche di regolazione affettiva. Sandler evidenzia che gli accadimenti della prima infanzia non sono vengono registrati come rappresentazioni ma come memoria procedurale. Questi eventi dunque non possono essere ricordati poiché avvenuti prima che il processo di rappresentazione e della successiva rimozione inizi ad essere operativo. I ricordi relativi ad accadimenti avvenuti in tenera età pertanto sarebbero“ricordi basati sulle descrizioni di eventi precoci che possono essere state raccontate a qualcuno o ascoltate durante l’infanzia, e quindi riorganizzate in quelli che sono essenzialmente falsi ricordi”. Le ipotesi avanzate da Sandler hanno trovato, molti decenni dopo, importanti conferme nelle scoperte neuroscientifiche sulla memoria implicita.