di Luca Mazzotta (Psicologo a Milano)

Joseph Sandler, insieme alla moglie Anne-Marie, ha avuto un ruolo di primo piano in quella che è stata definita (Ogden, 1992) la “rivoluzione silenziosa” nella teoria della psicoanalisi, sviluppando gradualmente una complessa integrazione della psicologia dell’Io con quella delle relazione oggettuali e cercando sempre di fare in modo che la teoria fosse immediatamente utilizzabile nell’attività clinica. Servendosi dell’Indice Psicoanalitico Hampstead come suo principale riferimento (risultato di un lavoro trentennale curato da Anna Freud e di cui Sandler è stato il principale coordinatore: può essere considerato il primo tentativo di standardizzare il materiale clinico relativo ai processi difensivi ed è stato descritto anche come una sorta di anello di congiunzione tra ricerca clinica e ricerca empirico-statistica), ha condotto studi sull’applicabilità dei concetti psicoanalitici alla situazione clinica, giungendo infine ad una riconcettualizzazione di alcuni dei temi fondamentali della psicoanalisi ed introducendo in psicoanalisi, “se non una nuova teoria, di certo un nuovo modello” (Lis, et al., 1999) basato sull’idea  introdotta da Edith Jacobson, che le rappresentazioni mentali delle relazioni tra il Sé e l’oggetto determinano il comportamento interpersonale (Jacobson, 1954).

Se alla metà del secolo scorso la psicoanalisi era dominata da una visione teorica piuttosto meccanicistica degli affetti, delle relazioni e del lavoro clinico Sandler, sistematizzando la conoscenza disponibile ed esaminandola in relazione alle osservazioni cliniche, ha elaborato un nuovo modello, che sarebbe potuto apparire poco più che una coerente riformulazione di idee già esistenti. In realtà, l’aver spostato la psicoanalisi sul livello delle rappresentazioni, e l’aver riconcettualizzato le motivazioni come organizzate da un bisogno di sicurezza, ha creato una base profondamente differente per gli sviluppi successivi della teoria e della pratica psicoanalitica. Il suo lavoro ha riunito, per la prima volta dalla morte di Freud, la maggioranza delle scuole psicoanalitiche sullo stesso piano concettuale. Improvvisamente si trovarono insieme le idee kleiniane sull’identificazione proiettiva, le idee degli indipendenti sull’ambiente di contenimento, i concetti nordamericani sulle relazioni oggettuali così come quelli della psicologia del Sé.

Le innovazioni e rielaborazioni concettuali di Sandler coprono quasi l’intero campo teorico psicoanalitico. La sua particolare attenzione alla natura interattiva delle relazioni oggettuali interne ed all’influenza del desiderio inconscio sull’effettivo comportamento dell’altro significativo hanno inoltre portato la psicoanalisi verso una concettualizzazione maggiormente relazionale.

Alex Holder, suo collaboratore, ha incluso Sandler nel gruppo di psicoanalisti che, come Bolwby, Stern, Emde, Kernberg e Fonagy, hanno profondamente rivisto le linee fondamentali dello sviluppo infantile (Holder, 2005). La loro caratteristica comune è per Holder quella di porre sempre in primo piano il ruolo degli affetti e della loro regolazione come organizzatori dello sviluppo e della vita psichica. Per Sandler, in particolare, i pazienti tendono ad aderire tenacemente alle loro rappresentazioni delle relazioni oggettuali mediante l’attualizzazione delle rappresentazioni stesse (a dispetto anche della loro natura eventualmente traumatica) in schemi relazionali,  “forzando” l’oggetto reale a comportarsi in modo da essere coerente con la propria rappresentazione interna. Ciò avverrebbe perché mediante questi schemi relazionali, riproposti nel qui e ora, e dunque anche nella relazione analitica di transfert, il paziente ha la possibilità di risperimentare l’illusoria presenza dell’oggetto rassicurante così come rappresentato (in relazione al Sé) nella sua fantasia inconscia, e dunque di mantenere una adeguata sensazione di sicurezza.

Sandler ha rivisto la teoria psicoanalitica mettendo al centro della teoria della motivazione gli stati affettivi piuttosto che l’energia psichica. In un capitolo sul ruolo degli affetti nella teoria psicoanalitica  ha affermato che

“mentre le pulsioni, i bisogni, le forze emozionali e le altre influenze che emergono dal corpo sono altamente importanti nel determinare il comportamento, da un punto di vista del funzionamento psicologico queste esercitano i loro effetti attraverso cambiamenti negli stati affettivi” (Sandler, et al., 1972).

Questa enfasi nei confronti degli stati affettivi è riuscita a creare un ponte teorico importantissimo tra la classica teoria delle pulsioni e la teoria delle relazioni oggettuali.

L’ipotesi fondamentale di Sandler è che gli stati affettivi sono esperienze soggettive che rappresentano uno stato del Sé in relazione con l’altro. Molti autori che hanno studiato le interazioni caregiver-bambino hanno fatto un uso estensivo del modello di Sandler come un’alternativa al meno utilizzabile concetto di teoria pulsionale

[(Stern, 1985), (Emde, 1988)].

Nel 1978 Sandler illustra come le perturbazioni dello stato affettivo “centrale di base” (originatesi da stimoli pulsionali o da stimoli provenienti dal mondo esterno) generano bisogni e desideri, vera unità di base della concettualizzazione psicoanalitica (Sandler, et al., 1978). Successivamente però gli affetti vengono affiancati alle pulsioni, rendendo così l’allontanamento dalla classica teoria delle pulsioni più evidente: sono gli affetti (e non solo le pulsioni) che guidano i desideri, i quali a loro volta guidano le azioni (Sandler, 1989). Dunque anche gli affetti, e non solo le pulsioni, possono essere visti all’origine del conflitto psichico.

Già nel 1960 Sandler  introduce il concetto di background di sicurezza, un concetto “rivoluzionario” che assegna all’Io il compito fondamentale di massimizzare il senso di sicurezza piuttosto che evitare l’angoscia: sebbene Sandler riconoscesse la complementarietà tra angoscia e sicurezza, egli ha cercato di dimostrare che la ricerca della sicurezza è un costrutto sovraordinato, compatibile con la teoria degli istinti, che ha la capacità di organizzare le difese, la percezione e le fantasie (Sandler, 1960b). Ad esempio il successo può essere percepito come un pericolo, mentre un fallimento può essere associato a sentimenti di familiarità e sicurezza. Per questo motivo il senso di sicurezza può essere sovraordinato al dispiacere in termini di dolore e sofferenza. Il concetto di sicurezza di Sandler si avvicina all’istinto di aggrappamento (Hermann, 1923) ed alla nozione di base sicura di Bowlby (Bowlby, 1973). C’è da precisare che da questi concetti il pensiero di Sandler si differenzia per un aspetto significativo: per questi ultimi la sicurezza è un istinto biologico mentre per Sandler va tenuta distinta dagli istinti poiché manca dell’eccitamento normalmente associato con la gratificazione pulsionale.

Per dirimere definitivamente il problema relativo all’organizzazione gerarchica tra affetti e pulsioni, Sandler confronta proprio questi due elementi centrali per la motivazione, dimostrando che

“l’urgenza di raggiungere un senso di benessere e sicurezza deve essere necessariamente più forte della gratificazione istintuale per poter tenere questa sotto controllo nel caso in cui il suo perseguimento dovesse implicare un pericolo” (Sandler, 1989).

La sicurezza quindi è il più chiaro esempio del lavoro di ripensamento, svolto da Sandler, sulla teoria della motivazione in termini di stati affettivi invece che di pulsioni.

 

Opere citate

Bowlby J. Attachment and Loss. Vol.2 Separation. – London : Hogart Press, 1973. – Tr. it.: “Attaccamento e perdita” vol.2: La separazione dalla madre. Torino, Bollati Boringhieri (1978).

Emde R.N. Development terminable and interminable II: Recent psychoanalytic theory and therapeutic considerations // International Journal of Psycho-Analysis. – 1988. – 69. – p. 283-286.

Hermann I. Zur Psychologie der Chimpanzen // Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse. – 1923. – 9. – p. 80-87.

Holder A. A Contemporary View of Some of Joseph Sandler’s Key Concepts // Psychoanalytic Inquiry. – 2005. – 25. – p. 148-172.

Jacobson E. The Self and the Object World—Vicissitudes of their Infantile Cathexes and their Influence on Ideational and Affective Development // Psychoanalytic Study of the Child. – 1954. – Vol. 9. – p. 75-127. – Tr. it. in: “Il Sé e il mondo oggettuale”. Firenze, Martinelli (1964).

Lis A., Stella S. e Zavattini G.C. Manuale di psicologia dinamica. – Bologna : Il Mulino, 1999.

Ogden T.H. The dialectically constituted/decentred subject of psychoanalysis, II: The contributions of Klein and Winnicott  // International Journal of Psycho-Analysis. – 1992. – 73. – p. 613-626.

Sandler J. e Holder A. Frames of reference in psychoanalytic psychology, I: Introduction // British Journal of Medical Psychology. – 1972. – 45. – p. 127-132.

Sandler J. e Sandler A.M. On the development of object relationships and affects // Internationa Journal of Psycho-Analysis. – 1978. – 59. – p. 285-296.

Sandler J. The background of safety // International Journal of Psycho-Analysis. – 1960b. – 41. – p. 191-198.

Sandler J. Toward a reconsideration of the psychoanalytic theory of motivation // in: Psychoanalysis: Toward the Second Century / a cura di: Cooper A.M., Kernberg O.F. e Person E.S.  – New Haven, CT : Yale University Press, 1989.

Stern D. The Interpersonal World of the Infant. – New York : Basic Books, 1985. – Tr. it.: “Il mondo interpersonale del bambino”. Torino, Bollati Boringhieri (1987).