La psicoterapia psicoanalitica è come quella che si vede al cinema o in tv?
di Luca Mazzotta

Ovviamente quello che accade in una stanza d’analisi non può essere raccontato fedelmente, ed anche se si provasse a farlo, non sarebbe possibile rendere esattamente l’esperienza che i due partecipanti fanno.

Ad ogni modo, nella comune rappresentazione di una psicoterapia psicoanalitica, vi sono due persone delle quali una – il paziente – racconta qualcosa di sé, fatti, avvenimenti, pensieri, sogni, e l’altra – l’analista – “svela” al paziente i significati nascosti che si celano nella sua mente deducendoli da ciò che il paziente dice. E sembra che questi contenuti mentali che finalmente vengono alla luce e sono ora conosciuti dal paziente aiutino immediatamente a guadagnare uno stato di benessere psicologico. In altri termini accade quello che accadeva durante i primi trattamenti ipnotici di Freud di fine Ottocento, con l’unica differenza che ora il paziente è “sveglio”. Ma allora non sarebbe propriamente terapia… ma suggestione!

Non è così, per fortuna. Il focus in una psicoanalisi non dovrebbe essere sui contenuti nascosti nella mente del paziente, contenuti che l’abilità del terapeuta riconosce e svela. Con tale modalità il paziente sembra totalmente passivo, pronto a “ingurgitare” le preziose interpretazioni che il “luminare” psicoanalista gli fornirà, sorprendendolo di volta in volta.

Il focus dovrebbe essere sulla mente del paziente come unica risorsa per la comprensione. Un terapeuta serio e preparato “aiuta” il paziente a riflettere sui suoi stessi pensieri. Aiuta il paziente ad accorgersi che ci sono dei collegamenti tra le cose che dice. Ad accorgersi che i suoi stati d’animo non corrispondono sempre a ciò che esprime verbalmente. Il terapeuta mette a disposizione del paziente un metodo che lo aiuti a riflettere su di sé. Questa capacità di riflettere sui propri pensieri è qualcosa che non è solitamente sviluppata nelle persone. Molto spesso si vedono pazienti che hanno già fatto delle terapie in passato e che conoscono molte cose sul loro conto, ma non sanno assolutamente come fare a raggiungere tale conoscenza: “Il mio terapeuta diceva che…”. Spesso questo tipo di conoscenza è rigida, stereotipata, quasi caricaturale: “deve essere la mia autorità interiore che me lo impedisce”!

La vera libertà di una persona consiste nel potersi permettere di pensare liberamente, qualunque cosa, senza che questo le susciti troppa ansia. La vera libertà è anche quella di poter pensare a quello che si sta pensando, di poter riflettere. La vera libertà è comprendere quello che si prova e soprattutto perché. È esperienza comune quella di provare qualcosa senza sapere realmente perché. Il più delle volte le più grandi inibizioni sono proprio all’interno della propria mente: non è possibile pensare liberamente, ci sono delle preclusioni. E come si può pensare di sentirsi liberi e di agire liberamente se non si può prima di tutto pensare liberamente? Le persone tendono ad agire invece che pensare, ad alcuni stimoli si tende a reagire in modo stereotipato, rigido. Una terapia efficace dovrebbe permettere la possibilità di riflettere invece che di agire immediatamente. In termini neurofisiologici dovrebbe riuscire a cambiare reti associative più semplici in reti associative più complesse: in questo modo l’elaborazione rallenta, rendendo concreta la possibilità di sostituire la riflessione all’azione.

David Rapaport, uno psicoanalista ungherese naturalizzato americano, citava una interessante storiella:

Un re ritornava in città seguito dall’esercito vittorioso. La banda suonava ed il suo cavallo, l’esercito, la gente, tutti i procedevano al passo con il ritmo. Il re, divertito, rifletteva sul potere della musica. All’improvviso notò un uomo che camminando lentamente e fuori passo rimaneva indietro. Il re, profondamente impressionato, mando a chiamare quell’uomo e gli disse: «non ho mai visto un uomo forte come te. La musica ha incantato tutti tranne te. Dove trovi la forza di resistergli? >> L’uomo rispose: <<Stavo riflettendo, e questo mi ha dato la forza >>.

Solo sviluppando una adeguata capacità di riflettere si può sperare di interrompere quel circolo vizioso che è alla base di molti disturbi psicologici e di raggiungere un nuovo tipo di rapporto con la propria mente. Solo sviluppando una adeguata capacità di riflettere si può sperare di contrastare quelle potenti forze interne di cui solitamente non si è consapevoli. Una buona analisi mira a modificare il processo, il modo in cui si pensa. I pazienti all’inizio hanno un modo di pensare concreto, in particolare nelle aree di conflitto: pensano ma non possono pensare ai loro pensieri. Se ad un paziente viene in mente il litigio col professore non si sta interroga sul perché proprio quel pensiero possa essere nella sua mente in quel momento. È questa una conoscenza difficile da raggiungere ma che porta grandi benefici perché, una volta acquisita, permette potenzialmente in moltissime situazioni di fare un passo indietro e riflettere anziché agire.