Tra gli anni venti e gli anni trenta del secolo scorso, a Vienna prima e negli Stati Uniti poi, lo psichiatra Jacob Moreno pose il gruppo e non l’individuo (a differenza di quanto faceva Freud) al centro dei propri interessi, ispirando così lo psicodramma e la psicoterapia di gruppo. Moreno definisce lo psicodramma come una scienza che esplora la verità rappresentandola con metodi drammatici, usando la rappresentazione come elemento trasformativo delle dinamiche dell’individuo. Concetti centrali sono la spontaneità e la creatività dell’individuo.

L’uso della parola dramma (dal greco drào: agisco) sottolinea l’importanza data all’azione al di là dell’interpretazione verbale: si tratta di una situazione terapeutica in cui vi è la possibilità di esternare bisogni, sentimenti, conflitti di ruolo e di sperimentare, senza rischi, nuovi modi di essere.

Non è la scarica motoria di per sé ad essere terapeutica, ma il concetto di catarsi. In altri termini avviene una liberazione del passato verso il presente e si ha una presa di coscienza che permette l’avvio verso una azione di ricostruzione del Sé. C’è da dire che proprio in quegli anni l’idea di una azione terapeutica della catarsi veniva abbandonata da Freud, il quale aveva verificato che la semplice presa di coscienza di conflitti e desideri inconsci non si era dimostrata sufficiente a liberare i suoi pazienti dai sintomi in modo duraturo.

Il teatro greco prevedeva la partecipazione all’azione teatrale come rito, come un incontro gruppale che facilitava appunto la catarsi.

La personalità dell’individuo è vista come costituita da un insieme di ruoli che vengono acquisiti grazie alle relazioni che si stabiliscono con gli altri ed alle modalità che si acquisiscono nell’interagire con gli altri. La patologia per Moreno emerge quando i ruoli che l’individuo interpreta diventano troppo rigidi e cristallizzati, bloccando ogni spontaneità e creatività.

Moreno però metteva l’accento più sulla funzione pedagogica che su quella terapeutica del suo metodo. In altri termini a suo avviso il suo metodo aiutava a diventare consapevoli di nuovi modi di essere ma non sarebbe stato sufficiente per consolidare un effettivo cambiamento della struttura di personalità.

Lo psicodramma moreniano fa uso di cinque strumenti:

  • il palcoscenico: rappresenta lo spazio in cui il soggetto può esprimersi liberamente;
  • il protagonista/soggetto: è invitato non a recitare una parte ma a essere se stesso;
  • il direttore: è regista (quando influenza l’azione drammatica), è terapeuta (quando partecipa all’azione e sollecita la catarsi), è analista (quando osserva le dinamiche individuali e interpersonali); per Moreno è preferibile che non si coinvolga direttamente (come avviene nella relazione di transfert nella psicoterapia psicoanalitica), ma per via indiretta, e cioè attraverso quelli che lui chiama gli Io-ausiliari:
  • lo staff di Io-ausiliari: estensioni del direttore, che egli guida nell’azione potendo così entrarvi indirettamente;
  • l’uditorio: è composto generalmente dai componenti della famiglia del soggetto o dai pazienti accomunati dallo stesso problema. Rappresenta il mondo, l’opinione pubblica, e la scena risulta influenzata dalla sua presenza; è quasi un paziente collettivo che trova sollievo nella catarsi.

Va notata la differenza tra lavoro in gruppo e di gruppo: lo psicodramma classico finisce per avere una grande attenzione per l’individuo nel gruppo e una meno attenzione alla rete delle relazioni gruppali o alle dinamiche gruppali. Il gruppo funziona da contenitore ma al centro è l’attore con la sua storia.

Una sessione di psicodramma è suddivisa in tre parti:

  • preparazione: ha come scopo il focalizzare il gruppo su un tema comune e di trovare il protagonista che lo rappresenti;
  • azione: prevede la rappresentazione drammatica; nel teatro terapeutico realtà e illusione sono la medesima cosa. Vengono applicate delle tecniche per favorire l’emergere delle emozioni e della spontaneità. L’importanza dell’azione è data dalla capacità di provocare la catarsi;
  • condivisione: si tratta del rientro nel gruppo ed è fondamentale perché fa sentire al protagonista di non essere solo e consente a tutti di esprimersi perché si possa realizzare la catarsi di gruppo.

Lo psicodramma moreniano resta comunque centrato sull’individuo ed agisce sull’individuo. L’eco del gruppo funge da cassa di risonanza aggiungendo in qualche modo una ulteriore dimensione alla psicoterapia individuale. Il gruppo resta un pubblico e in qualche modo viene “curato” attraverso il suo portavoce sul palcoscenico. Come ha precisato lo stesso Moreno, il gruppo di fatto è una metafora, non esiste, è un insieme di individui i quali pur arrivando a sviluppare degli stati co-consci, derivanti dalla storia comune del gruppo, restano pur sempre delle singolarità che non daranno mai vita a un’entità gruppale.

C’è da aggiungere che la tecnica dello psicodramma può rivelarsi molto utile con alcuni pazienti ed in alcune fasi di una psicoterapia individuale, anche di diverso orientamento. A Milano è molto attivo il Centro Studi Psicodramma e Metodi Attivi.

Per approfondire: F. Di Maria, G. Lo Verso: La psicodinamica dei gruppi. Teorie e tecniche. 1995 Milano, Raffaello Cortina Editore.