Il termine motivazione denota la dinamica del comportamento, animale e umano, il processo per cui le attività dell’organismo vengono funzionalizzate verso uno scopo: esso è applicabile a qualsivoglia istanza interna – o interiorizzata – dell’organismo, fisiologica, psichica, conscia, inconscia, elementare o complessa.

A causa di questa ricchezza di significati, vi sono vari termini che nel linguaggio psicologico differenziano e specificano la nozione di “motivazione”, sebbene non in maniera univoca e uniforme. “Motivo” è il termine più neutro e può riferirsi a motivazioni fra loro eterogenee; il termine “bisogno” implica “carenza di” o “necessità di”, a livello soprattutto organico; “pulsione” o “tensione” sono invece espressioni che fanno riferimento agli aspetti energetici della motivazione; “incentivo” sottintende un riferimento agli aspetti direzionali e teleologici del comportamento; “interessi, scopi, atteggiamenti” e simili sono infine espressioni che denotano aspetti molto elaborati e simbolici della motivazione umana.

Dal punto di vista della loro natura, i motivi possono essere classificati in due categorie generali:

a)      motivi primari o fisiologici, a loro volta distinti in due sottocategorie: 1) motivi fondamentali dipendenti da esigenze fisiologiche incoercibili, come la fame, la sete, il sonno ecc., ovvero da esigenze fisiologiche non altrettanto incoercibili, come la pulsione sessuale o il cosiddetto “istinto materno”; 2) motivi fondamentali innestati in condizioni fisiologiche non specificabili come il “bisogno  di attività, di manipolazione, di esplorazione dell’ambiente, di autostimolazione ecc.

b)      motivi secondari, di natura personale o sociale, acquisiti nel corso dell’esistenza in seguito a esperienze individuali e sociali. Alcuni di essi, come l’imitazione, sono praticamente universali, hanno origine nella prima infanzia e sono strettamente legati al primordiale “senso di dipendenza”; altri motivi secondari, come il successo, la cooperazione, dipendono funzionalmente dal tipo specifico di società o di cultura in cui vive l’individuo.

c)      Vi è infine una terza categoria di motivi molto personali e differenziati come i desideri e interessi individuali, gli obiettivi esistenziali, che sono in relazione con la particolare struttura di personalità di un individuo.

Murray (Explorations in personality. New York: Oxford University Press.1938) ha proposto una serie di 12 bisogni viscerogeni e 28 bisogni psicogeni; Maslow (Motivation and personality. New York, NY: Harper, 1954) ha distinto sei categorie di “bisogni” secondo un ordine decrescente di basilarità e di urgenza, e ha formulato l’ipotesi che i bisogni meno urgenti ed elementari non possano essere soddisfatti se prima non lo siano stati quelli più “fondamentali”.

Qualora da un piano più generale si passi a considerare la struttura e i livelli della motivazione negli individui concreti, ci si imbatte in problemi complessi poiché è più facile, ad esempio, spiegare il “perché” gli uomini dipingano, che non il “perché” quell’individuo particolare dipinga. Nella situazione concreta il processo motivazionale che ha luogo nell’individuo non è facilmente percepibile da un osservatore esterno e talora neppure dall’individuo stesso: il medesimo motivo può essere espresso da una grande varietà di comportamenti, a volte tra loro contrastanti (ad esempio possiamo essere aggressivi sia attaccando che ignorando l’avversario), e viceversa molte motivazioni eterogenee l’una rispetto all’altra sono frequentemente espresse dal medesimo comportamento (ad esempio uno scrittore può scrivere per avere denaro e fama); inoltre spesso le motivazioni, anziché apparire in forma manifesta, assumono dei “travestimenti” (come nel caso dei sogni).

Data la complessità dei problemi che pone sia a livello generale che differenziale, il fenomeno motivazionale è stato oggetto di vari tentativi di spiegazione. Possiamo distinguere un’ipotesi comportamentista, un’ipotesi della motivazione inconscia e un’ipotesi cognitivista.

1)      Sebbene inizialmente nozioni come “motivazione”, “percezione” e “cognizione” fossero escluse dal linguaggio rigorosamente oggettivistico del comportamentismo, in seguito alcune ipotesi hanno iniziato a sostenere che tutti i motivi derivano da pochi bisogni organici fondamentali e che anche i più complessi e apparentemente autonomi processi motivazionali si fondano, e si esauriscono, nei meccanismi dell’apprendimento per rinforzo. Malgrado il riduzionismo spesso semplicistico, l’ipotesi comportamentista sottolinea le interazioni tra motivazione e apprendimento soprattutto nella prima infanzia dell’individuo e ciò può essere particolarmente utile nell’interpretazione delle variazioni individuali del comportamento motivato.

2)      L’ipotesi della motivazione inconscia pone l’accento sull’esistenza di pulsioni o motivazioni di cui non si è direttamente consapevoli e che sono alla base di molti comportamenti, normali o nevrotici, I “motivi inconsci” trapelano nella vita quotidiana attraverso i lapsus linguistici, le dimenticanze apparentemente banali (ad esempio capita di dimenticare un appuntamento con qualcuno verso il quale si nutre un’inconscia ostilità) e soprattutto attraverso i sogni, che esprimono i desideri in forma mediata e simbolica.

L’ipotesi cognitivista, pur non contestando l’importanza dei fattori inconsci o quella dei processi di apprendimento, rileva che le variabili cognitive interagiscono significativamente con il processo motivazionale: in altri termini il comportamento è in gran parte motivato da istanze di cui si è consapevoli, da propositi espliciti, da programmi e aspettative coscienti. Ad esempio, optare per un dato tipo di lavoro e prepararsi in funzione di esso, implica un soppesare esplicitamente le proprie capacità e i propri interessi, le alternative reali, le finalità a medio e lungo termine. A questo proposito, però, deve rilevarsi come le motivazioni consapevoli relative ad un certo comportamento possono essere delle semplici “razionalizzazioni” di sottostanti (e spesso contrapposte) motivazioni inconsce, come hanno dimostrato esperimenti di induzione ipnotica oppure studi su individui “split brain” (cui era stato sezionato chirurgicamente il corpo calloso, dividendo così la maggior parte delle connessioni tra i due emisferi cerebrali).