di Luca Mazzotta

Di recente il maestro Ezio Bosso ha portato la musica, e la sua passione, in una trasmissione televisiva. Qualche tempo fa il musicista aveva espresso l’idea di far entrare lo studio della musica già nei programmi della scuola materna. La musica, è noto, sviluppa la sensibilità, la creatività, permette di conoscere e di esprimere in modo unico e universale i moti dell’animo umano e le più sottili sfumature di affetti ed emozioni.

A mio avviso studiare musica oggi è qualcosa di rivoluzionario anche per un altro motivo. Studiare musica richiede passione, curiosità, impegno, perseveranza, disciplina, umiltà. Tutte cose che oggi non sembrano più necessarie. Non è più importante essere competenti e autorevoli, basta essere “famosi”. E per essere famosi è sufficiente essere “social”, guadagnare un po’ di like (o di cyber-insulti, fa lo stesso), stupire con una foto ammiccante, farsi un selfie sporgendo le labbra in fuori. Oppure per dirsi musicisti basta far girare due cd su di una consolle (anche per quello in realtà sarebbe necessaria una certa competenza, ma essere musicisti è ovviamente un’altra cosa) o scrivere un testo dove il turpiloquio stupisce e riempie il vuoto di contenuti.

La competenza però è altra cosa: va costruita, va guadagnata. Chi studia musica sa quanto costi. Basta provare a far venire fuori una nota, una singola nota, da un violino o da un clarinetto. Basta provare a suonare un barrè con la chitarra. Ci vogliono ore e ore, e ancora ore di dedizione. Si deve affrontare il timore di non essere capaci, e saper andare oltre. Si deve affrontare il dolore dei calli sulle dita, e continuare a provare. Poi il risultato, forse, arriverà. Ma mai gratis. Mai subito. Si ha idea di cosa significhi suonare il pianoforte? Le due mani devono suonare due cose diverse, contemporaneamente, la mente deve leggere due pentagrammi diversi, in due chiavi diverse, contemporaneamente. A volte con strutture ritmiche diverse (qualcuno conosce certi studi di Chopin?). Facile no? È come se si chiedesse di leggere due articoli diversi, in due lingue diverse, contemporaneamente. Eppure, chi ci si dedica, riesce in questo miracolo apparentemente impossibile. Allora è ricompensato dalla magia che emerge da quella cassa armonica. Allora è ricompensato da quella sensazione di competenza. Allora può essere ricompensato da quelle vibrazioni che le sue stesse mani, che la sua competenza stanno producendo. Allora può permettersi di dire la sua, con autorevolezza. Autorevolezza che si è guadagnato con il lavoro, con l’esercizio, con la pazienza e l’umiltà.

Lo studio della musica è una grande scuola di vita. Oggi sembra che sia autorevole chi urla di più, chi stupisce di più, chi infarcisce il proprio discorso di frasi rozze o volgari. Vale anche per i politici, che spesso hanno come primo interesse quello di rappresentare e far dilagare la grettezza, la barbarie. Imparare la musica significa anche studiarne le regole, e studiare le storie di chi ha avuto il coraggio di mettere in discussione ed ampliare quelle regole, sempre grazie alla propria preparazione e competenza. Perché i padri devono essere superati, ma è auspicabile che ciò avvenga in meglio!

E ancora: la musica insegna anche a fare i conti con i propri limiti. A riconoscere chi è più bravo, chi ha più talento. Un musicista questo lo sa. Non dirà mai “se potessi esercitarmi di più”… Perché anche la capacità di “scegliere” la musica, di studiare ore ed ore ogni giorno, è un talento. E spesso o lo si ha o non lo si ha. La musica insegna tutto questo: passione, disciplina, sacrificio, competenza, umiltà.

Nei nostri studi professionali si vedono sempre più spesso persone che chiedono una psicoterapia che sia veloce, che risolva magicamente i loro problemi, magari venendo in studio piuttosto raramente, una volta alla settimana, o addirittura ogni quindici giorni. Alcuni hanno voglia di “cambiare” con tre o quattro sedute di consultazione psicologica al massimo… Tutto e subito! È come se uno chiedesse di imparare a suonare Bach, o Paganini, in sei mesi, esercitandosi un giorno alla settimana per un’ora o due. Impossibile, ridicolo. Eppure, c’è chi ritiene (ed anche purtroppo chi propone) che la terapia sia come partecipare ad una lotteria: “se ho fortuna e capisco cosa non va starò meglio”, “se ho la fortuna di trovare il terapeuta bravo questi mi darà le dritte giuste!”.

La psicoterapia, quella vera, assomiglia molto di più allo studio di uno strumento: un buon maestro è fondamentale ma non esisterà mai il maestro che, una volta spiegato come si suona Liszt, farà sì che il suo allievo lo sappia suonare. Un buon maestro saprà insegnare all’allievo come studiare Liszt, saprà accompagnarlo nel migliore dei modi in questo studio, ma lo studio dovrà farlo l’allievo. L’impegno e lo sviluppo del talento dipendono dalla sua capacità di applicarsi. Se anche un maestro si mettesse a spiegare come suonare un barrè alla chitarra, nessun allievo saprà comunque farlo correttamente. Sebbene teoricamente si sappia come fare, sarà sempre necessario provare, provare e provare ancora. Non sarà più la mente a capire come si fa, ma le mani a imparare a muoversi. È un apprendimento procedurale. E una terapia è proprio così: non si tratta solo di qualcosa che è necessario comprendere, ma di un’esperienza che è necessario fare finché, ad un certo punto, il proprio “strumento” possa iniziare a suonare. Alcuni ci riescono, e sentirli suonare è un piacere.