Spesso si discute se sia meglio affidare i bambini piccoli agli asili nido oppure alle cure di un’unica figura di riferimento come la “tata”. Questo problema è maggiormente sentito dalle sempre più numerose famiglie mononucleari, che non hanno la possibilità di usufruire del supporto di familiari come nonne, zii ecc..

Di recente la questione è stata sollevata da un numeroso gruppo di esperti tra cui Steve Biddulph, psicologo ed autore di numerosi libri sui temi della genitorialità e dell’educazione, Richard Bowlby, figlio di John Bowlby, teorico dell’attaccamento e Allan Schore, psicologo clinico e neuropsicologo i cui contributi negli ultimi decenni hanno fornito importanti prove a sostegno dell’integrazione tra modelli psicologici, psicoanalitici e neurobiologici dello sviluppo emotivo e affettivo.

Questo gruppo di psicologi ha evidenziato la necessità di aprire un dibattito approfondito su cosa sia meglio offrire dal punto di vista sociale ai bambini al di sotto dei tre anni per realizzare le condizioni più favorevoli per un corretto sviluppo emotivo: a loro avviso le condizioni migliori per lo sviluppo dei bambini piccoli sono quelle che derivano da una costante interazione con una adeguata figura di riferimento; molte ricerche infatti hanno mostrato che l’assenza di una figura di riferimento che si prenda cura del bambino per buona parte della giornata nei primi due-tre anni di vita può portare ad un aumento del rischio di incorrere in  problemi comportamentali.

Le cure continuative di una figura di riferimento dunque rappresentano l’ambiente ideale in cui può realizzarsi un sano sviluppo per bambini tra zero e trenta-trentasei mesi ed una società che costringe o incoraggia entrambi i genitori di bambini molto piccoli a lavorare fuori casa per gran parte della giornata dovrebbe porsi il problema di come utilizzare le risorse a disposizione per la cura dei bambini, tenendo conto anche del fatto che vi sono sempre più famiglie mononucleari in cui non vi è la vicinanza di nonni o altri parenti in grado di fornire aiuto e supporto nell’accudimento dei figli. Parte delle troppo esigue risorse potrebbero ad esempio essere destinate ad incentivare il ricorso a  figure di accudimento stabili come “baby sitter” o “tate” qualificate al posto dell’asilo nido.

È oramai appurato che il corretto sviluppo della corteccia cerebrale infantile dipende moltissimo dal tipo di interazione e dalle cure amorevoli all’interno di un’interazione uno-ad-uno: incentivare tale modalità di accudimento potrebbe rappresentare un importante investimento per il futuro.

Molti genitori intuiscono che lasciare i bambini molto piccoli (spesso anche più piccoli di otto-nove mesi) in un asilo nido non sia la scelta migliore, eppure non hanno molte alternative: in effetti un bambino di appena otto mesi non è psichicamente “attrezzato” per gestire una separazione dalla figura di accudimento, e non lo sarà per almeno i primi due anni di vita. Così spesso ci si rifugia in quelle che sono delle comprensibili ma erronee razionalizzazioni: “il bambino va al nido perché ha bisogno di socializzare”, “il bambino andando al nido sarà più pronto per la scuola materna”. Un bambino molto piccolo probabilmente non manifesterà grande sofferenza per la separazione dalla madre, eppure questa assenza di sofferenza non è affatto un segnale di “maturità” del piccolo: al contrario i bambini al di sotto degli otto-nove mesi non hanno ancora sviluppato un legame di attaccamento e pertanto hanno bisogno di una interazione continua con una figura di riferimento affinché possano acquisire la fondamentale capacità di “stare con fiducia insieme ad un altro”. Difficilmente si osserva un vero e proprio bisogno di socializzare in un bambino piccolo e inoltre bambini che hanno potuto beneficiare di adeguate cure non frequentando l’asilo nido non incontrano particolari problemi nell’inserimento alla scuola materna. Gli attaccamenti “mirati” iniziano a stabilirsi soltanto verso i sette-otto mesi (nonostante la capacità di riconoscere persone familiari compaia molto prima): è solo in questo periodo che il bambino acquisisce la “costanza della persona”, cioè la capacità di rimanere orientato verso determinate persone anche in loro assenza, prerequisito fondamentale per la formazione di un legame di attaccamento.

D’altro canto parlare di una figura di riferimento che si prenda cura del bambino non significa affatto che questa figura debba essere esclusivamente la madre: ci si riferisce al fatto che dei bambini molto piccoli, al di sotto dei tre anni, hanno bisogno più che altro di interazioni uno-ad-uno continuative con un’altra persona. Ad esempio tra i pigmei Efe, una popolazione seminomade dell’Africa centrale, durante il primo anno di vita, mentre la mamma lavora, diverse persone si prendono cura del bambino prendendolo in braccio, consolandolo ed anche attaccandolo al seno (The Efe forager infant and toddler’s pattern of social relationships: Multiple and simultaneous. Tronick, Edward Z.; Morelli, Gilda A.; Ivey, Paula K. – Developmental Psychology, Vol 28 n.4, 568-577) ; la mamma viene chiamata solo se il bambino non si calma. A partire dal secondo anno di vita il bambino ha un rapporto più centrato sulla madre, anche se sempre nel contesto di relazioni con altre persone familiari e all’occorrenza disponibili. Non sono stati osservati particolari costi psicologici di questo tipico stile di vita: i bambini sviluppano numerosi legami di attaccamento e hanno a disposizione varie fonti di sicurezza. A prima vista sembrerebbe una modalità simile a quella degli asili nido, in realtà si tratta della modalità opposta: tra gli Efe più figure si prendono cura di un bambino mentre nell’asilo nido una sola figura si prende cura di più bambini.

Sui bambini affidati agli asili nido sono stati condotti numerosi studi allo scopo di verificare se la separazione quotidiana dalla madre sia dannosa e se renda problematico lo stabilirsi di un buon legame madre-bambino. In alcuni di essi utilizzando il metodo della Strange Situation (ad es. J. Belsky and M.J. Rovine – Nonmaternal Care in the First Year of Life and the Security of Infant-Parent Attachment – Child Development vol. 59, n. 1, pp. 157-167) si è osservato che esiste un rischio più elevato di sviluppare legami di attaccamenti insicuri nei confronti della madre per i bambini di 12-13 mesi affidati quotidianamente a estranei da almeno quattro mesi e per più di venti ore settimanali: inoltre anche se molti bambini a rischio sviluppano in seguito attaccamenti sicuri, i bambini che frequentano gli asili nido hanno maggiori probabilità di sviluppare attaccamenti insicuri.

È vero che in molte situazioni gli asili nido rappresentano l’unica soluzione possibile, e spesso di ottima qualità, per tutte quelle famiglie in cui non ci sono alternative logistiche (nonni o parenti disponibili) o economiche (necessità per entrambi i genitori di lavorare ed impossibilità di pagare una baby-sitter) all’accudimento dei loro figli; questo dato di fatto però non dovrebbe assolutamente impedire di poter iniziare una discussione sull’adeguatezza in generale del sistema degli asili nido per lo sviluppo bambini molto piccoli e di poter iniziare a valutare alternative praticabili. Molto spesso in realtà, in particolare in alcune famiglie in cui non vi sono particolari difficoltà economiche, la possibilità di lasciare il proprio bambino di uno o due anni, o addirittura di pochi mesi, alle cure di una fidata “tata” qualificata non viene neppure presa in considerazione solo perché semplicemente non si è a conoscenza del fatto che le cure continuative di una figura di riferimento sono molto più adeguate allo sviluppo psicologico del loro figlio. A questo proposito va segnalato che da qualche settimana è stata annunciata l’istituzione presso il Comune di Milano di un “albo delle tate”, gestito ed aggiornato dall’amministrazione comunale, da poter consultare per la ricerca di personale professionale preparato e qualificato cui affidare i propri figli.