di Luca Mazzotta – Psicologo Psicoterapeuta Psicoanalista

I meccanismi di difesa rappresentano una feconda area di ricerca nella teoria e nella clinica psicoanalitica in quanto si prestano, più che altri costrutti, ad essere facilmente e chiaramente osservati, descritti, verificati ed in generale utilizzati a scopi diagnostici e terapeutici.

Si tratta di meccanismi psicologici che mediano tra desideri, bisogni, affetti e impulsi dell’individuo da una parte, e proibizioni interne e realtà esterna dall’altra. In questo senso rappresentano una “sintesi creativa” della mente, sono per lo più inconsci e involontari, spesso distorcono la percezione della realtà esterna e/o interna e maturano nel tempo verso forme sempre più evolute.

I meccanismi di difesa condividono con i sintomi il fatto che entrambi rappresentano delle “soluzioni” di situazioni  problematiche o conflittuali, sebbene solo i sintomi possano essere visti come delle soluzioni chiaramente disadattive. I meccanismi di difesa non sono, di per sé, patologici: deve sempre essere effettuata una valutazione sull’ampiezza della gamma di difese cui è possibile ricorrere, sulla rigidità con cui le difese vengono utilizzate, sulla pervasività e, infine, deve sempre essere valutata la situazione ambientale in cui vengono utilizzate determinate difese.

La presentazione di alcuni esempi può rendere più agevole la comprensione del tema: una cantante alla fine della sua esibizione riceve dei fischi di disapprovazione dal pubblico. Tra sé e sé esclama che ha davanti a sé un pubblico incompetente che non ha apprezzato la scelta delle canzoni. Non immagina dunque minimamente che i fischi siano rivolti alla sua interpretazione e non alle canzoni. La fragilità narcisistica della cantante non può permettere di mettere in discussione le sue capacità e così la colpa del disappunto è imputabile all’incompetenza del pubblico. In questo caso, come nella famosa favola “La volpe e l’uva” di Esopo, viene utilizzato il meccanismo di difesa della svalutazione.

Ancora: un bambino viene portato dal medico per un piccolo intervento ambulatoriale; qui manifesterà con evidenza paura, rabbia verso gli adulti che lo costringono in una situazione spiacevole e rabbia per la sua impotenza. Il giorno dopo, tornato sereno e spensierato, si mette a giocare con il suo amico al dottore, e lui farà proprio il dottore. In questo caso il bambino utilizza l’identificazione con l’aggressore.

Un ragazzo viene infastidito pesantemente da un coetaneo aggressivo e prepotente: in quella situazione non riesce a reagire e finisce con l’allontanarsi. L’episodio sembra non rivestire per lui alcuna importanza ma nelle settimane successive continua a fantasticare di affrontare con coraggio i bulli del quartiere. In questo modo, mediante una negazione in fantasia, non si confronta con al realtà della sua timidezza.

In ognuno di questi esempi vi è una situazione problematica che l’individuo è chiamato ad affrontare (la delusione per una esibizione scadente, l’intervento in ambulatorio, l’aggressione subita) ma ognuno di questi esita in un’operazione psichica dei soggetti mediante la quale la realtà perde il suo carattere spiacevole.

Queste operazioni psichiche, inconsce e fuori dal controllo consapevole del soggetto, vengono definite meccanismi di difesa. La parola meccanismi, però, può risultare fuorviante in quanto non si tratta di modalità automatiche e predeterminate, che si attivano come un modulo esterno all’apparato psichico del soggetto. Si tratta invece di un funzionamento dotato di senso, integrato pienamente nella personalità dell’individuo e ricco di sottigliezze: si tratta del risultato di una interazione dialettica tra bisogni dell’apparato psichico e realtà (esterna o interna), di un discorso psichico inconsapevole ma comunque in qualche modo lucidamente intenzionale e perfettamente funzionale.

Siamo dunque di fronte a operazioni mentali inconsapevoli la cui funzione è quella di proteggere l’individuo dal provare eccessiva angoscia, la quale si manifesterebbe nel caso in cui egli diventasse conscio di pensieri, impulsi o desideri inaccettabili.

I meccanismi di difesa, numerosissimi, vengono generalmente ordinati in base alla loro maggiore o minore “maturità”: si parla così di difese “mature o evolute” come l’altruismo, l’umorismo, la sublimazione, di difese ossessive, di difese nevrotiche, narcisistiche, fino alle difese definite più “primitive” (scissione, identificazione proiettiva, diniego ecc). In questo senso è bene precisare che solitamente coesistono, in uno stesso individuo, difese più mature e difese maggiormente primitive. La definizione di difese “mature” o “primitive” non esprime un giudizio di valore ma riguarda la fase evolutiva in cui queste difese vengono maggiormente utilizzate (coerentemente con lo sviluppo affettivo e cognitivo), così che è possibile in qualche modo dedurre aree di fissazione a seconda del maggiore o minore utilizzo di alcuni particolari meccanismi di difesa.

La stessa diagnosi psicoanalitica, che viene fatta osservando i tratti di personalità più che le manifestazioni sintomatologiche, si basa sulla individuazione di particolari configurazioni di meccanismi di difesa che emergono all’interno del rapporto tra paziente e terapeuta. In questo senso un particolare stile di personalità è caratterizzato dal maggiore o minore ricorso a determinati meccanismi di difesa rispetto ad altri.

Infine dal punto di vista terapeutico, il lavoro sui meccanismi di difesa diventa una parte essenziale del trattamento: in presenza di una solida alleanza di lavoro e di adeguate capacità e caratteristiche soggettive del paziente, è possibile stimolare il paziente ad osservare più e più volte la presenza di alcune operazioni psichiche che intervengono nel suo discorso attraverso particolari modalità. Gradualmente dunque il paziente si accorge che “si difende”, poi diviene evidente “come si difende”. Infine può giungere a comprendere “da cosa si difende e perché”.