Trovo utile riportare un recente articolo del dottor Don Greif, psicologo e psicoanalista statunitense, co-redattore capo della rivista Contemporary Pshychoanalysis. Il dottor Greif è stato docente e supervisore del William Alanson White Institute ed è autore di molti articoli e libri. In questo articolo, traendo spunto da una vignetta clinica, l’autore parla della pressione che molti genitori subiscono circa la necessità di dare sempre il meglio – spesso socialmente definito in termini di prestigio – ai propri figli.

Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese ha sviluppato il concetto di “madre sufficientemente buona”. Ha incoraggiato le madri (e i padri) a fidarsi del loro istinto e del loro giudizio circa la cura dei loro bambini e a non aspirare alla perfezione.

Sarò una madre sufficientemente buona?

Diana, una donna incinta al suo secondo anno di terapia, siede sul mio divano e dice che per nella settimana appena trascorse le è capitato di svegliarsi nel mezzo della notte e di non riuscire a riaddormentarsi. Le chiedo che cosa li stessa pensi di quest’episodio. Dice che aveva letto un articolo su di una rivista in cui si parlava dell’importanza di fare in modo che il proprio bambino abbia accesso ad un’eccellente scuola materna in modo che possa poi entrare in una buona scuola elementare, che a sua volta è fondamentale per entrare in una buona scuola superiore e un buon college; i quali, secondo l’articolo, sono cruciali per riuscire nella vita. Quindi si è informata sulle scuole disponibili vicino al suo luogo di residenza e tutte sembravano piuttosto buone ma l’articolo l’ha spinta a pensare: “Forse non sono il meglio per mio figlio.”

“Quindi questo è quello che l’ha preoccupata di notte,” ho detto. Diana fa cenno di “sì” e dice che una sua amica, che presta molta attenzione ai compiti dei suoi figli, si era resa conto che la scuola pubblica che i suoi figli frequentavano non stava insegnando loro quello che avrebbe dovuto e quindi ha deciso di trasferirli in una scuola privata. Diana quindi inizia a sentirsi preoccupata di poter essere una cattiva madre poiché, a differenza della sua amica, lavora fuori casa a tempo pieno e prevede di continuare a farlo dopo il periodo di maternità.

Ho detto: “È comprensibile che sia preoccupata di essere o meno una buona madre. Posso anche capire che l’articolo l’abbia resa ansiosa.”

Lei confessa, ridendo, che dell’articolo ha letto solo il primo paragrafo prima di andare così fuori di testa da non poter continuare a leggere!

“È davvero così importante la scuola materna in cui andrà il bambino?” Chiede.

Rispondo con enfasi, “Questa è una buona domanda!”

Diana dice che lei e suo marito hanno frequentato la scuola pubblica dei loro quartieri e per entrambi la scelta si è rivelata giusta.

Mi ha fatto piacere che potesse mettere in discussione la validità di questo articolo o almeno che potesse prenderne le distanze. “Quindi una parte di lei è scettica rispetto a quanto ha letto” ho detto.

Essere il migliore

Ho pensato per un attimo e poi ho continuato: “C’è una specie di ossessione nella nostra cultura circa l’essere il migliore.” Poi ho accennato al concetto di Winnicott di “madre sufficientemente buona”.

So quanto sia vulnerabile Diana – e quanto tutti noi siamo vulnerabili – nei confronti dell’ansia di non corrispondere alle aspettative culturali. Sapevo anche che essere per la prima volta genitore avrebbe intensificato in Diana la vulnerabilità ai messaggi culturali su cosa e come avrebbe dovuto provvedere al suo bambino. Non voleva fallire.

A mio avviso, l’idea che le scelte della scuola che i genitori fanno per i loro bambini di 4 anni (o di 14 anni) determineranno il successo del bambino – per non parlare l’idea che ci sia una scuola “migliore” – limiti la libertà dei genitori di scegliere una scuola abbastanza buona sulla base di specifiche esigenze sia del loro bambino che della famiglia.

Concentrarsi su quale sia la scuola migliore – o il meglio di qualunque cosa –  del resto spesso riflette l’importanza che viene accordata allo status sociale e a segnali esterni di successo, piuttosto che a qualità intrinseche, quali il piacere provato nell’apprendimento e il valore duraturo di una buona formazione.

Le aspettative culturali   

Siamo tutti profondamente immersi nella nostra cultura e quindi non possiamo che assorbire le sue aspettative e i suoi messaggi, spesso senza rendersene conto. La crescita personale però a volte ci impone sia di riconoscere gli aspetti della nostra cultura che sono oppressivi o che comunque limitano la nostra libertà, che e di resistere a questa influenza. Diventare consapevoli dell’impatto dei valori e degli ideali culturali ci permette di fare scelte che sono personalmente significative.

Può essere utile ricordare che raramente esiste “la scelta migliore”.

Per esempio molti genitori che tornano al lavoro subito dopo che i loro bambini sono nati, tra cui quelli che sono costretti a tornare subito al lavoro – si preoccupano di quale possa essere l’impatto di lasciare i loro bambini nelle mani di un altro, che si tratti di una baby-sitter, di un parente o di un asilo nido (si veda l’articolo qui proposto Tata o nido?; NdT). Ma anche coloro che hanno la possibilità di restare a casa a tempo pieno con i loro bambini spesso si preoccupano di quale potrà essere l’impatto dello stare a casa per così tanto tempo con i figli. Si preoccupano per la perdita di interessi dal mondo esterno, del fatto che sacrificano la loro crescita professionale o addirittura di poter mettere a repentaglio la loro carriera.

Come per quasi tutti gli aspetti della vita, nella maggior parte delle scelte che i genitori fanno non esiste una soluzione perfetta o la scelta migliore: la maggior parte delle scelte richiede un compromesso e questo significa che ci sono al massimo delle scelte “sufficientemente buone”.