Per avere una qualche valutazione della propria salute emotiva e psicologica potrebbe talvolta essere utile guardare alla qualità del proprio sonno. C’è un esame da affrontare in futuro? Si deve affrontare una importante presentazione in azienda l’indomani mattina? È possibile che la qualità del sonno ne risenta.

Ma cosa succede ai bambini? Mentre la maggior parte di loro normalmente non devono affrontare questo tipo di preoccupazioni, alcuni hanno purtroppo a che fare con un diverso tipo di stress: la violenza. È noto che i bambini esposti alla violenza segnalano significativi disturbi del sonno. Si ritiene che aver assistito o essere stato vittima di un evento violento provochi una maggiore attivazione poiché ovviamente aumenta la percezione che la propria incolumità sia minacciata, con dirette conseguenze sulla qualità del sonno. La maggior parte degli studi, tuttavia, ha impiegato poco affidabili misure soggettive di autovalutazione della qualità del sonno. Uno studio pubblicato su Sleep Medicine (Spilsbury, J., Babineau, D., Frame, J., Juhas, K., & Rork, K. (2014). Association between children’s exposure to a violent event and objectively and subjectively measured sleep characteristics: a pilot longitudinal study Journal of Sleep Research, 23 (5), 585-594 DOI: 10.1111/jsr.12162 ) si proponeva il compito di chiarire l’associazione tra la violenza e la qualità del sonno nei bambini utilizzando sia misure oggettive che una prospettiva longitudinale. Gli autori hanno ipotizzato che le diverse forme di violenza, come essere aggrediti fisicamente rispetto ad aver assistito ad un omicidio, influenzerebbero in modo diverso alcune caratteristiche del sonno.

I ricercatori hanno reclutato 46 bambini di età compresa tra 8 e 16 anni all’interno di una comunità in cui partecipavano ad interventi legati a problemi di violenza. Le misure sono state rilevate in due momenti: all’inizio (comunque entro 7 settimane dalla episodio di violenza) e dopo 3 mesi (follow-up). Durante ogni rilevazione i partecipanti indossavano per una settimana un dispositivo da polso che utilizza il movimento per determinare quando gli individui sono addormentati. Sono state rilevate cinque misurazioni di disturbi del sonno: orario di addormentamento, durata del sonno, percentuale di tempo passato effettivamente dormendo mentre si è a letto, quantità di tempo passato da svegli durante la notte dopo il primo addormentamento e la variabilità della durata del sonno nel corso della settimana. I partecipanti anche completato due indagini: una scala per misurare il grado di esposizione alla violenza (che ha valutato una serie di eventi violenti: nel quartiere, a scuola e a casa durante gli ultimi 12 mesi), e una misura di autovalutazione della persistenza del trauma dopo un l’evento. Inoltre è stato chiesto anche ad un genitore di ogni partecipante di riferire sulla qualità del sonno dei loro figli.

Il tipo di violenza vissuta dai partecipanti varia: il 57% dei bambini ha riferito di aver assistito a violenze domestiche, mentre il 43% a violenze fuori dall’ambiente domestico; inoltre il 41 per cento del campione di bambini aveva subito direttamente aggressioni fisiche.

Due particolari tipi di violenza sono risultati molto interessanti per i ricercatori per quanto riguarda la loro associazione con i disturbi del sonno. Gli individui che sono stati fisicamente aggrediti avevano una minore durata del sonno (mediamente più breve di 35 minuti), restavano svegli dopo il primo addormentamento quasi tre volte di più degli altri ed avevano una “efficienza” del sonno del 6% più bassa rispetto agli altri bambini che non avevano subito direttamente violenza fisica. Questi effetti sono stati riscontrati anche nel follow-up (tre mesi dopo).

D’altra parte, i bambini che avevano assistito ad un omicidio avevano dei tempi di veglia dopo l’addormentamento doppi rispetto agli altri, mostravano una maggiore variabilità da notte a notte nella durata del sonno e riportavano maggiori problemi nel sonno nelle autovalutazioni rispetto ai ragazzi che non avevano assistito un omicidio. Questi risultati, tuttavia, non erano più così evidenti nel follow-up.

Non è chiaro il motivo per cui le diverse esperienze di violenza siano associate a diversi esiti: i ricercatori suggeriscono che probabilmente la persistenza del disturbo del sonno in coloro che sono stati fisicamente aggrediti rifletta la diversa percezione della sicurezza fisica personale, con conseguente maggiore vigilanza ed attivazione durante la notte (momento in cui si è particolarmente vulnerabili).

Anche se si tratta solo di uno studio pilota, le implicazioni per la salute pubblica sono estremamente importanti: sinora le ricerche degli ultimi dieci anni suggerivano che il sonno disturbato nei bambini e negli adolescenti fosse associato a varie infiammazioni, all’aumento dell’obesità e a problemi comportamentali, anche se la relazione causale tra queste variabili e la scarsa qualità del sonno non sia mai stata chiaramente individuata. È interessante notare inoltre che i ricercatori hanno trovato una correlazione molto bassa tra la qualità del sonno riferita dal genitore e le misure rilevate sui partecipanti, il che suggerisce che molti genitori possono non essere a conoscenza delle difficoltà del sonno dei loro figli. Mentre affrontare bisogni emotivi di un bambino dopo l’esposizione alla violenza è sicuramente importante, questo studio suggerisce che utilizzare il sonno come misurazione oggettiva può essere estremamente utile. Dopo tutto un sonno disturbato può raccontare una storia completamente diversa, di cui un genitore – o anche lo stesso bambino – potrebbero non essere a conoscenza.

Articolo liberamente tratto da: http://digest.bps.org.uk/search/label/Sleep%20and%20dreaming