Siamo assediati dall’obbligo di star bene ed essere sempre felici: la pubblicità promette ogni sorta di paradisi, le case farmaceutiche offrono pillole della felicità ed in libreria è impossibile non imbattersi in saggi che propongono improbabili scorciatoie verso il benessere psichico.

Gli psicologi spesso non sono da meno saltando sul treno dell’ottimismo a tutti i costi con lo sviluppo della psicologia positiva e del “pensare positivo”. Che poi… qualcuno dovrebbe spiegare come può fare chi è depresso a pensare positivo, se il suo problema è proprio il non riuscirci!

Si sente spesso affermare: <<Le persone devono essere aiutate a raggiungere traguardi come l’ottimismo, il buonumore il senso di autostima>>. Si tratta di un brusco cambiamento di rotta per una categoria solitamente abituata a pescare nelle acque torbide dei sentimenti meno attraenti, alla ricerca delle cause di nevrosi e simili.

Eppure gli studi scientifici più seri sostengono che pessimismo, insicurezza, depressione e altre “sventure psichiche” svolgono una funzione utile per l’igiene mentale. Ad esempio il pessimismo aumenta addirittura l’efficienza e il rendimento dei soggetti ansiosi: queste persone partono spesso dal presupposto che tutto andrà male e perciò sono armati meglio contro gli insuccessi rispetto agli euforici, che finiscono alla cieca nelle trappole. Poiché i pessimisti immaginano una situazione imminente in ogni dettaglio, con tutte le difficoltà e i rischi, essi sono effettivamente in grado di studiare come evitare i pericoli peggiori.

In alcuni studi, quando alcuni soggetti pessimisti venivano suggestionati predisponendoli a una visione più rosea del mondo, le loro prestazioni calavano di colpo, sia che dovessero risolvere dei problemi matematici o disputare una gara di tiro con le freccette. Chi sta sempre sulla difensiva se la cava meglio in ogni circostanza, perché riesce a dipingersi le differenti forme possibili del fallimento nei colori più accesi. Si vedano ad esempio gli studi della psicologa Julie Norem, docente del Wellesley College.

Anche la convinzione che il segreto del successo sia un elevato senso di autostima oggi viene messa in dubbio. Per lo psicologo statunitense Jean Twenge, tra l’alta opinione di se stessi e la bontà dei risultati professionali non esiste infatti alcuna correlazione statistica significativa, anzi, di solito negli esperimenti i soggetti con il più basso grado di autostima si rivelavano interlocutori più attenti e comprensivi.

Nel frattempo molti studiosi hanno scoperto gli aspetti vantaggiosi di quasi tutti gli stati d’animo più spiacevoli.

La depressione per esempio, almeno nelle sue forme più miti, agisce quasi sempre come un utile correttivo per distogliere le persone dai corsi improduttivi della vita (si veda anche la serie di articoli qui pubblicati: Depressione, esperienza soggettiva e sistemi cerebrali). La rabbia invece produce spesso la sensazione di controllare meglio la situazione, e questo dà coraggio in circostanze che sembrano senza via di uscita. Il film d’animazione “Inside Out” fornisce un eccellente esempio.

Dal punto di vista dei biologi evoluzionisti, sia i sentimenti positivi sia quelli negativi fanno da guida per la sopravvivenza ottimale nell’ambiente. Chi rimuove le emozioni negative, elimina uno di questi sistemi di guida. Gli interessantissimi studi del prof. Panksepp ad esempio vanno in questa direzione.

Ma a prescindere da tutto questo, l’invito alla “psicologia positiva” può persino condurre alla tirannia del benessere: è proprio giusto e utile che non si debba star male in situazioni in cui il malessere è il sentimento appropriato? Forse chi propina la psicologia positiva, il pensare positivo, è semplicemente chi è incapace di stare accanto ad una persona che attraversa un momento negativo della sua esistenza.